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    LA GRANDE SFIDA

    13 Ottobre 2021

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    Nella lotta alla crisi climatica, è davvero possibile uno sviluppo sostenibile?

    Vi state chiedendo quale sia la grande sfida ambientale? E se vi parlassimo di carbon footprint, quanti di voi avrebbero idea di cosa sia?

    Tranquilli, con questo articolo cercheremo di chiarivi un pò le idee!

     

    Cos’è?

    Tradotto alla lettera sta per “impronta di carbonio”. Si presuppone quindi sia qualcosa che traccia qualcos'altro. 

    Durante il suo ciclo di vita, ogni prodotto rilascia in atmosfera diverse quantità di gas serra (CO2): dalla fase di estrazione delle materie prime a quella di trasformazione; dalla produzione all’imballaggio al trasporto; dalla fase di utilizzo al suo smaltimento finale.

    Ecco, il carbon footprint non è altro che il parametro usato per misurare le emissioni di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione o da un individuo, lungo l’intero ciclo di vita del sistema di analisi. Generalmente il parametro viene espresso in tonnellate di CO2 equivalente. Cos’è la CO2e? È la misura che esprime l’impatto sul riscaldamento globale di una certa quantità di gas serra rispetto alla stessa quantità di anidride carbonica (CO2).

    La grande sfida sarà quindi raggiungere uno sviluppo sostenibile!

     

     

     

    È oramai provato scientificamente che siano le attività dell’uomo le principali cause del surriscaldamento globale. La portata dei recenti cambiamenti nel sistema climatico è senza precedenti da molti secoli e molte migliaia di anni.

    Per tentare di porre rimedio allo scenario catastrofico che ci si prospetta, o per lo meno fare del nostro meglio per ridurre gli effetti sul clima, nel dicembre del 1997 è stato pubblicato il Protocollo di Kyoto, un trattato internazionale in materia ambientale.

    Entrato in vigore nel 2005, dopo una serie di ratifiche, ad oggi sono circa 175 i Paesi aderenti, più un'organizzazione di integrazione economica regionale (EEC). Solo per citarne alcuni: l’Italia l’ha ratificato il primo giugno 2002; gli Stati Uniti lo hanno firmato nel 1998, ma non lo ha ratificato; il Canada è stato il primo paese a uscirne. India e Brasile, pur avendo una crescita molto intensa, sono esenti da obblighi poiché considerati Paesi in via di sviluppo e di conseguenza non si è voluto ostacolare la loro crescita economica frapponendovi oneri per essi particolarmente gravosi.

    La sfida coinvolge anche i Paesi coinvolti, i quali si impegnano ad attuare politiche industriali e ambientali rivolte al rallentamento del riscaldamento del nostro pianeta. Chi non rispetta gli accordi è sanzionabile. Tuttavia, un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di crediti di emissioni (con lo scopo di massimizzare le riduzioni ottenibili a parità di investimento) aiutano a non incappare in multe troppo salate.

     

    Ma perché parliamo del protocollo di Kyoto? Perché è proprio nel trattato che vengono definiti i gas ad effetto serra da prendere in considerazione nel conteggio del footprint, ossia:

    - Anidride carbonica CO2

    - Metano CH4

    - Protossio d'azoto N2O

    - Idrofluorcarbori HFCs

    - Esafluoruro di zolfo SF6

    - Perfluorocarburi PFCs

    Il calcolo del carbon footprint prende in considerazione le emissioni di tutti i gas ad effetto serra, convertite in CO2 equivalente, attraverso parametri stabiliti a livello mondiale dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change).

    Quindi per indicare l’impatto ambientale dell’attività dell’uomo si dovranno misurare tutte le suddette emissioni, dirette e indirette, legate a quella relativa attività.

     

     

     

    Andiamo più nello specifico. Si perchè la sfida è rivolta anche alle singole aziende. Per valutare come ogni singola impresa influisce sul cambiamento climatico, andrà calcolata l’impronta ecologica dell’azienda, attraverso l’analisi del life cycle (che stima le emissioni dirette della produzione aziendale), le emissioni legate alla produzione dell’energia utilizzata e quelle della supply chain nel complesso.

    Lo stesso principio può essere applicato per calcolare il carbon footprint di prodotto (CFP), ossia la quantità di tutte le emissioni di gas ad effetto serra durante tutte le fasi dell’intero ciclo di vita del prodotto (valutazione possibile anche in una sola e precisa fase di vita).

     

    Perché è importante conoscerlo?

     

    Perché, se da un lato il carbon footprint permette di valutare e quantificare gli impatti emissivi in materia di cambiamenti climatici, dall’altro aiuta a monitorare l’efficienza ambientale ed energetica delle singole strutture. E questo è di fondamentale importanza per le aziende, enti, organizzazioni, ecc. che vogliono entrare, e giocare, nella partita verso la sostenibilità.

    Essendo il 50% di tutta l’impronta ecologica raffigurato dal carbon footprint, è fondamentale conoscere quest’ultimo poiché ci da un’idea della domanda di combustibile fossile fatta al nostro pianeta. Va da sé che la riduzione dell’impronta di carbonio diventa essenziale per limitare, se non eliminare, lo sfruttamento eccessivo delle risorse.

    Dal punto di vista economico e aziendale, la carbon footprint diventa uno strumento fondamentale per modellare le strategie attuate per valorizzare le proprie attività e promuovere le politiche di responsabilità sociale ed ambientale, sulla base dei criteri ESG.

    L’acronimo sta per Environmental (ambiente), Social e Governance, tre dimensioni fondamentali per sostenere, tramite giuste scelte di investimento, l’impegno dell’impresa verso la sostenibilità.

    Tra i grandi appuntamenti innovatori delle strategie sostenibili non possiamo non ricordare l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Si tratta di un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, costituito fondamentalmente da 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile.

    È una sfida che coinvolge l’intero globo terrestre su questioni importanti che mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l’ineguaglianza e ad affrontare i cambiamenti climatici. Il tutto nel pieno rispetto dei diritti umani.

    Le attività intraprese per compensare e ridurre le emissioni con misure equivalenti attraverso azioni efficienti (come per esempio piantumazione di alberi, produzione di energia rinnovabile, etc.) possono essere integrate con misure volte alla neutralizzazione delle emissioni (carbon neutrality).

     

    A questo punto una nuova domanda sorge spontanea.

    Cos’è la carbon neutrality?

    In parole semplici è il risultato del bilanciamento tra emissioni di gas serra generate ed emissioni riassorbite. In pratica significa azzerare, o neutralizzare, le emissioni di CO2.

    Lo scopo finale è raggiungere il punto in cui le emissioni di gas ad effetto NON superano la capacità della Terra di assorbirle.

    Nonostante tutti gli sforzi attuati, non è possibile evitare alcune emissioni che derivano dalle attività umane. Tuttavia, in questo momento, il numero delle nazioni che si stanno impegnando per perseguire questo obiettivo e contrastare così il cambiamento climatico sono in costante aumento. Sono infatti moltissime le imprese che investono in progetti interni per ridurre le emissioni di carbonio derivanti dalla catena produttiva. Oppure utilizzano la compensazione di crediti di carbonio certificati, riconosciuti dagli accordi sul clima, per riuscire a compensare la differenza.

     

     

    (Photo: Business Wire)

     

    Ma perché un'impresa dovrebbe considerare il proprio impegno nella transizione verso un'economia Carbon Neutral? Raggiungere l’equilibrio tra emissioni nette di gas serra generate dall’uomo e quelle assorbite è di fondamentale importanza affinché le temperature medie sul pianeta si mantengano al di sotto di 1,5° C e non si verifichi il riscaldamento globale. L’articolo 4 dell’Accordo di Parigi, siglato nel 2015, prevede di raggiungere l’obiettivo entro la metà del secolo: “intraprendere rapide riduzioni in seguito, in linea con le migliori conoscenze scientifiche a disposizione, così da raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni e gli assorbimenti antropogenici di gas a effetto serra nella seconda metà del corrente secolo, su una base di equità e nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi tesi a eliminare la povertà”.

    Per quanto riguarda il Vecchio Continente, la sfida dell'Europa è essere la prima a raggiungere l’impatto climatico zero. Per farlo ha attuato il Green Deal Europeo, ossia l’adozione di una serie di proposte per trasformare le proprie politiche in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità che le permetteranno di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

    (Approfondiremo questo interessante argomento nel nostro prossimo articolo).

     

    Grazie alle rivelazioni eseguite tra il 2017 e il 2018 dal satellite sperimentale cinese TanSat, disponiamo della prima mappa che descrive il flusso globale delle emissioni di CO2.

    Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Advance in Atmospheric Sciences, ma il lavoro proseguirà con TanSat-2, ora in fase di progettazione. Lo scopo è tracciare un bilancio delle emissioni di anidride carbonica fin nel dettaglio di singoli centri urbani per verificare i monitoraggi fatti individualmente da ogni singolo Stato. Il controllo potrà poi essere coordinato sia dalla Convenzione Onu sui cambiamenti climatici che dagli Accordi di Parigi.

     

     

     

    Animazione video sull'incremento delle temperature registrate sulle superficie terrestre tra il 1880 ed il 2017 - fonte: NASA

     

     

     

    La Terra dal canto suo cerca di darci una mano nel vincere la sfida verso un mondo sostenibile. Stiamo parlando dei pozzi di carbonio che esistono in natura. Ci riferiamo a una qualsiasi area naturale di stoccaggio, come le torbiere o le foreste, che assorbe più carbonio di quello che rilascia, riducendo così la concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

    Le piante, assorbendo anidride carbonica nel processo di fotosintesi, fissano il carbonio nella propria biomassa e nel suolo, trasformando la superficie terreste in vere e proprie riserve di carbonio (carbon stock).

    Purtroppo, a causa della deforestazione, negli ultimi anni le foreste tropicali hanno perso la loro capacità di stoccare anidride carbonica. Tuttavia, uno studio svedese, condotto dalla Lund University e pubblicato su Nature Ecology & Evolution, dimostra come i più importanti pozzi di carbonio siano attualmente le foreste boreali (nelle regioni sub-artiche). La divergenza di comportamento tra le due foreste è iniziata già nel 2008. Uno studio, condotto invece dai ricercatori dell’Università di Edimburgo e dall’Accademia cinese delle scienze, ha dimostrato che tra il 2010 e il 2016, i pozzi di CO2 cinesi, hanno stoccato circa il 45% delle emissioni della Repubblica Popolare.

    Non dobbiamo adagiarci sugli allori quando si parla di ambiente. La capacità di assorbimento delle foreste è ormai quasi satura e, secondo i ricercatori, entro il 2030 la capacità delle foreste africane di rimuovere il carbonio diminuirà del 14% rispetto alla media del periodo 2010-2015. Mentre le foreste amazzoniche potrebbero smettere di rimuovere del tutto l’anidride carbonica entro il 2035.

    Ciò sarebbe sconcertante.

     

     

     

    Concludiamo portando alla vostra attenzione il Sesto Rapporto sul cambiamento climatico di Ipcc con il quale l’ONU accende un grosso segnale di allarme rosso sulla situazione globale oramai fuori controllo, causato soprattutto dallo sviluppo eccessivo male governato.

    Considerato l’attuale panorama climatico ambientale, ci auguriamo che una grande fetta degli investimenti totali attuati dai vari Paesi siano dedicati alla ricerca per contrastare la crisi climatica e accelerare la transizione energetica. Ci auspichiamo che tutti i governi attuino delle scelte concrete e consapevoli attraverso finanziamenti in linea con gli obiettivi e le mission aziendali.

    Tutti devono svolgere il proprio ruolo e concentrare le proprie attività nella riduzione di emissioni per accelerare la transizione verso un’economia a zero carbonio in tutti i settori.

     

    La carbon neutrality è la grande sfida che il mondo carbon free si accinge a vincere! L’azione di governi e istituzioni da sola non può bastare. La lotta al Climate change deve diventare l’obiettivo comune primario perseguito da nazioni, aziende, settore privato… e singoli cittadini!

     

    Vi lasciamo con una domanda: secondo voi, è possibile dividere lo sviluppo economico dagli impatti ambientali? E, se possibile, come si arriverà allo “sviluppo sostenibile”?

     

     

    Continuate a seguirci. Nei prossimi articoli vi racconteremo qualcosa di più sul nostro settore e cosa Busforfun sta progettando per una mobilità sostenibile.

     

    #BusForFunBlog #WeTheGreen #ClimateChange

     

     

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