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5 maggio 2021
Il trasporto pubblico è al centro dell’attenzione pubblica e mediatica sin dalle primissime fasi della pandemia. Ne abbiamo parlato in questo articolo, nel quale oltre a sottolineare le principali criticità legate alla sicurezza del trasporto pubblico, abbiamo proposto alcune possibili soluzioni a questo problema, tra le quali ad esempio il servizio di commuting per aziende e cluster industriali.
In questo articolo vogliamo affrontare la questione da tutt’altra prospettiva e con un approccio diverso rispetto al solito. Lo faremo, infatti, basandoci sui risultati emersi da due studi scientifici pubblicati in questi mesi. Le domande alle quali intendiamo dare una risposta imparziale ed oggettiva sono: viaggiare sui mezzi pubblici è sicuro? I bus sono diffusori di contagi?
Sono in tanti a porsela e la risposta non è affatto scontata! Le variabili in gioco sono moltissime e il rischio quando si affrontano temi così complessi è quello di abbandonarsi alle suggestioni, saltando a conclusioni che spesso non hanno alcun fondamento scientifico!
Ecco perché il punto di partenza di questa nostra analisi è lo studio scientifico Mobility network models of COVID-19 explain inequities and inform reopening, pubblicato su Nature il 10 novembre 2020.
L’obiettivo dei ricercatori era comprendere se e in che modo le politiche di riduzione della mobilità impattassero sulla diffusione dei contagi.
Per farlo, hanno costruito un modello di mobilità dinamico, analizzando i dati relativi alle dieci aree metropolitane più grandi degli Stati Uniti ed integrandolo con un modello SEIR (suscettibili – esposti - infettivi – recuperati).
Le reti di mobilità sono state costruite aggregando i dati anonimi di 98 milioni di persone, suddivise in campioni di circa 3000 individui (chiamati CBG), che si spostavano dai propri quartieri di residenza per recarsi presso alcuni punti di interesse come ristoranti, chiese, ecc... (chiamati POI) e viceversa.
Come si nota dalla figura a sopra, le politiche di contenimento del virus, introdotte a partire da marzo 2020 hanno ridotto notevolmente gli spostamenti. Il grafico relativo ad aprile 2020, infatti, mostra una evidente riduzione dei flussi di mobilità (le linee grigie che collegano i CBG ai POI sono molto meno fitte).
A questo punto la prima domanda da porsi è: ridurre la mobilità funziona?
La risposta è si, ma ci sono alcuni aspetti importantissimi da prendere in considerazione.
Prendiamo in esame un esempio pratico, l’area metropolitana di Chicago: il limite di occupazione massima fissato al 20% ha consentito di ridurre i contagi dell’80%.
Tuttavia, i ricercatori hanno sottolineato un aspetto fondamentale: la riduzione della mobilità è importante tanto quanto le tempistiche! Il ritardo nell’attuazione delle strategie di contenimento, infatti, può portare ad un aumento significativo dei contagi (vedasi il terzo grafico della figura a sotto). Allo stesso tempo, è doveroso tenere presente che imporre limiti di capienza generici, senza considerare la domanda nel tempo, può essere controproducente perché tende ad alimentare picchi di presenze negli orari di punta.
Proseguendo nello studio, i ricercatori hanno messo in luce altri due aspetti significativi:
Il modello mostra come i “super diffusori” siano responsabili della maggior parte dei contagi. In che misura? Tornando ancora una volta all’esempio pratico di Chicago, l’85% dei contagi avviene nel 10% dei punti di interesse. Come è possibile? Il rischio di contagio è direttamente proporzionale al tasso di presenza (quante persone ci si recano giornalmente) e alla lunghezza media dei tempi di permanenza. Ecco perché alcune tipologie di punti di interesse, sono di gran lunga più “rischiose” di altre. E qui la domanda sorge spontanea: i mezzi pubblici fanno parte dei “super diffusori” di contagi? La risposta è no! Infatti, se tutti indossano la mascherina, risultano molto meno rischiosi di altre tipologie di punti di interesse.
Riguardo alle disparità nella diffusione dei contagi, che vede le fasce demografiche economicamente svantaggiate maggiormente esposte, le motivazioni sono sostanzialmente due. La prima è che nella maggior parte dei casi, per gli individui che ne fanno parte è più difficile ridurre gli spostamenti, soprattutto perché non sempre hanno la possibilità di lavorare in smart working. L’altro motivo è legato alla tipologia di punti di interesse che frequentano, che nella maggior parte dei casi risultano essere mediamente più affollati e con tempi di permanenza maggiori.
La soluzione individuata dai ricercatori è dunque intervenire in maniera mirata sui punti di interesse più rischiosi, fissando dei limiti di capienza specifici e con tempistiche specifiche, piuttosto che limitare la mobilità in maniera generica! Un approccio del genere è di gran lunga più efficace in termini di contenimento dei contagi e soprattutto meno impattante dal punto di vista economico.
A proposito di intervenire su specifici punti di interesse, un approfondimento a parte lo dedicheremo al “Modello di simulazione a supporto delle strategie di protezione dal COVID-19: applicazioni al trasporto pubblico urbano" presentato qualche giorno fa dall’Università di Genova. In questo caso l’obiettivo dei ricercatori era rispondere alle domande di partenza del presente articolo: è sicuro viaggiare sui mezzi pubblici? I bus sono diffusori di contagi?
Suddetta ricerca si inserisce all’interno di un protocollo di collaborazione tra l’Università e AMT, che ha consentito di avviare attività congiunte di monitoraggio e analisi dei dati, con una particolare attenzione al tema della diffusione del contagio a bordo dei mezzi pubblici.
L’Università ha messo in campo un gruppo di lavoro multidisciplinare, formato da medici, chimici e ingegneri, al fine di stimare il rischio di contagio a bordo degli autobus in differenti condizioni di servizio.
I componenti del gruppo sono Lorenzo Ball del Dipartimento di Scienze Chirurgiche e diagnostiche integrate, Valentina Caratto e Maurizio Ferretti del Dipartimento di Chimica e Chimica industriale, Carlo Cravero e Davide Marsano del Dipartimento di ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti.
La loro ricerca parte dall’analisi delle modalità attraverso le quali avviene la trasmissione del virus SARS-CoV-2. E qui finalmente abbiamo la possibilità di rispondere con cognizione di causa ad un’altra domanda diffusissima, alla quale troppo spesso vengono date risposte improprie quanto pericolose: indossare la mascherina riduce davvero i contagi? La risposta è si, dal momento che il contagio avviene prevalentemente attraverso le goccioline emesse (droplet) dal soggetto infetto mentre tossisce, starnutisce, parla e respira. Il rischio di diffusione del contagio è direttamente proporzionale alla distanza che queste goccioline possono percorrere. Ecco perché indossare la mascherina è uno dei modi più efficaci per ridurre il rischio di trasmissione! Oltre a questo, però, nei luoghi chiusi è fondamentale prestare attenzione al ricambio dell’aria, dove le particelle più piccole persistono più a lungo.
A questo proposito, il gruppo di ricerca dell’Università di Genova ha simulato vari scenari di utilizzo del trasporto pubblico, tenendo conto delle condizioni del sistema di condizionamento e di apertura dei finestrini.
La ricerca è avvenuta su un modello di autobus lungo 18 metri: il Mercedes Citaro G, che è stato accuratamente ricostruito in 3D.
Come hanno fatto a simulare i vari scenari?
Attraverso un modello numerico basato su tecniche di fluidodinamica computazionale (CFD).
Come funziona?
Integrando i dati disponibili sulla capacità di diffusione del virus con una serie di metodiche già sperimentate, si studia l’evoluzione dell’emissione patogena espirata da un soggetto infetto (emettitore) disposto in una determinata posizione all’interno del mezzo.
Come anticipato, il modello prende in considerazione la distribuzione del flusso d’aria all’interno del mezzo, causata dai finestrini e dalla qualità del sistema di aereazione (assorbimento e ricircolo) e il tempo di permanenza a bordo dello stesso.
A scopo cautelativo sono state poste alcune ipotesi di lavoro:
Nell’analisi è stato preso in considerazione il tempo di permanenza e la posizione del soggetto infetto, simulando tre casi:
Il risultato dello studio è che in ogni caso, se tutti indossano correttamente la mascherina (chirurgica), il rischio di contrarre il virus su un autobus in cui è presente un soggetto infetto è bassissimo, anche in caso di 30 minuti di permanenza. Il rischio aumenta se il soggetto infetto non indossa la mascherina e raggiunge l’apice nel caso in cui nessuno la indossi.
Per validare il modello, il gruppo di ricerca ha effettuato una campagna sperimentale al vero su un autobus in percorrenza urbana, riproducendo le stesse identiche condizioni di riferimento.
In questo caso sono stati installati una serie di sensori in diverse posizioni e un emettitore (che serviva a simulare il soggetto infetto) nella sezione centrale del bus. L’esperimento ha preso in considerazione lo scenario in cui la permanenza a bordo del mezzo è di 30 minuti, durante i quali i sensori hanno raccolto una serie di dati, successivamente elaborati secondo il protocollo sviluppato dal Prof. Maurizio Ferretti, dalla Dott.ssa Valentina Caratto e dal Dott. Lorenzo Ball. L’esito di questa sperimentazione è stato positivo, a dimostrazione dell’affidabilità del modello proposto.
Un altro aspetto interessante è che i risultati delle simulazioni proposte consentono di stimare il numero di nuovi contagi attesi ogni volta che 100.000 persone utilizzano il mezzo pubblico. Anche in questo caso, come evidenziato nello studio condotto negli Stati Uniti, se i passeggeri indossano correttamente la mascherina, il numero di nuovi contagi è irrisorio.
A questo punto è doveroso sfatare definitivamente una serie di false credenze.
La prima falsa credenza è che l’utilizzo della mascherina è di dubbia utilità. Non utilizzare la mascherina, soprattutto nei luoghi chiusi aumenta enormemente il rischio di contrarre il virus.
La seconda è che la riduzione generica della mobilità è di per sé efficace. Lo studio dei ricercatori americani summenzionato dimostra che è molto meglio intervenire in maniera mirata con tempistiche specifiche per ciascuna tipologia di punti di interesse.
La terza è che viaggiare a bordo dei mezzi pubblici è rischioso. Entrambe le ricerche, ma soprattutto quella dell’Università di Genova, hanno dimostrato che indossando correttamente la mascherina, le probabilità di contagio a bordo di un mezzo pubblico, in particolare un bus, sono minime, anche in presenza di un soggetto infetto e con un tempo di permanenza di mezz’ora.
Ora l’obiettivo è diffondere questo messaggio per tranquillizzare le persone e sensibilizzarle sull’importanza di tornare a spostarsi con i mezzi pubblici. Il rischio, infatti, è che per paura del contagio vengano abbandonati in favore dei mezzi privati. Sai quali sono gli effetti negativi di questa scelta? Non è difficile provare ad immaginarlo, tuttavia se ti interessa approfondire questo aspetto puoi dare una lettura al nostro articolo l’italiano e l’automobile. Come abbiamo sottolineato nell’articolo su l’anno europeo delle ferrovie, la riduzione degli impatti ambientali non può prescindere dalla mobilità sostenibile. Ecco perché non possiamo permetterci di fare un passo indietro in questo senso… ne va del futuro del nostro pianeta!
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